Da subito i ragazzi in quarantena fiduciaria si sono trovati – nuovamente – ad usufruire di una didattica a distanza, integrati nel lavoro, in presenza, della classe. Una grande sfida, ma i sorrisi e le mani alzate sullo schermo sono tutt’altro che virtuali. Per questo ne vale la pena.
“Mi raccomando, resistete!”, ci ha detto un genitore durante un’assemblea che si è svolta, ancora, su Meet: “I ragazzi hanno bisogno di venire a scuola!”. Vero. E anche noi.
E se per un periodo non si può? Se l’ombra della quarantena costringe a rimanere a casa? Una mamma ci racconta l’iniziale senso di smarrimento, la preoccupazione. Ma, lo sappiamo bene, non si cammina con i “se”, e, quest’anno, era già pronto “il piano B”: un tablet in ogni classe, telecamere, la piattaforma di Classroom, programmi e supporti collegati alla Lim. Una paradossale ma preziosa eredità, perfezionata, grazie ad un assiduo lavoro, dopo il lungo periodo di didattica a distanza della scorsa primavera.
E così chi è rimasto a casa, ciascuno, si è subito ritrovato in classe – seppur tramite PC – sostenuto dai suoi insegnanti e dai suoi compagni, che tendono l’orecchio, fanno silenzio o alzano la voce affinché, da casa, sentano bene. “Grazie, ci siamo immediatamente sentiti supportati”, conclude la stessa mamma.
Questa è la “didattica integrata”: un “fare scuola”, che permetta, da subito, di lavorare insieme, di essere accompagnati. Subito, perché certe situazioni non avvisano, arrivano e basta.
I ragazzi partecipano in diretta a tutte le lezioni, fanno domande, intervengono, ascoltano insegnanti e compagni, guardano la lavagna, svolgono i compiti o le verifiche come e con gli altri, ricevono materiale tramite i diversi corsi su Classroom, già pronti dall’inizio dell’anno.
Una grande sfida, ma i sorrisi e le mani alzate sullo schermo sono tutt’altro che virtuali. Per questo ne vale la pena.
Chiara Tradigo